Illegittimità costituzionale del Piano Casa della Regione Puglia: la pronuncia della Corte Costituzionale.

La Corte Costituzionale ha dichiarato in parte l’illegittimità costituzionale del Piano Casa della Regione Puglia statuendo che in caso di demolizione e ricostruzione è obbligatorio far coincidere l’area di sedime, dell’altezza massima e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito.

Si riportano di seguito i punti principali della pronuncia della Corte Costituzionale n. 70 del 24 aprile 2020 e si allega il testo integrale.  

Il Governo aveva promosso questione di legittimità costituzionale di alcune disposizioni del c.d. Piano Casa della Regione Puglia, ovvero dell’art. 2 della legge della Regione Puglia 17 dicembre 2018, n. 59, recante “Modifiche e integrazioni alla legge regionale 30 luglio 2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale)”, per violazione degli artt. 3, 97, 117, terzo comma, della Costituzione, anche in relazione agli artt. 36 e 37 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)”, e all’art. 5, comma 10, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, recante “Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia” c.d. Decreto Sviluppo, convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106.

Legge regione Puglia n. 59/2018 che ha introdotto la norma di interpretazione autentica relativa all’art. 4, co. 1, legge regione Puglia n. 14/2009.

“L’art. 4, comma 1, della legge reg. Puglia n. 14 del 2009, oggetto della norma interpretativa, aveva previsto (e prevede) che, «[a]l fine di migliorare la qualità del patrimonio edilizio esistente, sono ammessi interventi di demolizione e ricostruzione di edifici residenziali e non residenziali o misti con realizzazione di un aumento di volumetria sino al 35 per cento di quella legittimamente esistente alla data di entrata in vigore della presente legge da destinare, per la complessiva volumetria risultante a seguito dell’intervento, ai medesimi usi preesistenti legittimi o legittimati, ovvero residenziale, e/o a usi strettamente connessi con le residenze, ovvero ad altri usi consentiti dallo strumento urbanistico. A seguito degli interventi previsti dal presente articolo, gli edifici non residenziali non possono essere destinati a uso residenziale qualora ricadano all’interno delle zone territoriali omogenee E) di cui all’articolo 2 del decreto del Ministero dei lavori pubblici 1444/1968». Il comma 3 del medesimo articolo si premura poi di specificare che «[g]li interventi di ricostruzione devono essere realizzati nel rispetto delle altezze massime e delle distanze minime previste dagli strumenti urbanistici. È consentito il mantenimento dei distacchi, degli arretramenti e degli allineamenti dei manufatti preesistenti limitatamente alla sagoma preesistente. In mancanza di specifica previsione in detti strumenti, e nel caso di ricostruzione di edifici all’interno della sagoma planimetrica dell’esistente, le volumetrie complessive ricostruite sono consentite nel rispetto delle altezze massime della strumentazione urbanistica comunale vigente e delle distanze minime previste dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (…)». In tal senso l’aumento volumetrico, in caso di ricostruzione e demolizione, era (ed è) condizionato dalla legge regionale al rispetto delle altezze e delle distanze previste dagli strumenti urbanistici o, in mancanza, dall’art. 9 del decreto Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della l. 6 agosto 1967, n. 765), o comunque all’osservanza della sagoma dell’edificio preesistente rispetto ai distacchi, agli allineamenti e agli arretramenti.

In simile contesto, qualche anno dopo, il legislatore pugliese, con la citata legge reg. Puglia n. 59 del 2018, ha inserito l’impugnata norma di interpretazione autentica, la quale ha disposto che il      sopra menzionato art. 4, comma 1, della legge reg. Puglia n. 14 del 2009 deve essere inteso nel senso che «l’intervento edilizio di ricostruzione da effettuare a seguito della demolizione di uno o più edifici a destinazione residenziale o non residenziale, può essere realizzato anche con una diversa sistemazione plano-volumetrica, ovvero con diverse dislocazioni del volume massimo consentito all’interno dell’area di pertinenza».

La disposizione impugnata, come emerge dal confronto delle due prescrizioni, non ha una portata meramente interpretativa. Al legislatore – anche regionale – «non è preclusa la possibilità di emanare norme retroattive sia innovative che di interpretazione autentica. La retroattività deve, tuttavia, trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall’efficacia a ritroso della norma adottata» (sentenza n. 73 del 2017). (…) Alla luce di questi criteri si deve concludere che la specificazione contenuta nella disposizione impugnata è insuscettibile di essere ricompresa nell’originario contenuto dell’art. 4, comma 1, della legge reg. Puglia n. 14 del 2009.

La norma regionale fa infatti riferimento a una «diversa sistemazione plano-volumetrica o a diverse dislocazioni del volume nell’area di pertinenza». Estende, quindi, in via retroattiva, l’oggetto della disposizione originaria: con riferimento alle “diverse dislocazioni”, la disposizione censurata consente nuove e distinte costruzioni rispetto all’immobile originario, collocate in luogo diverso dal precedente ancorché nella medesima area di pertinenza.

È vero che, con l’art. 5, comma 9, del citato “decreto sviluppo”, il legislatore nazionale ha consentito interventi di demolizione e ricostruzione anche con «delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse», ma tale fattispecie disciplina l’ipotesi affatto diversa del possibile trasferimento (cosiddetto decollo), nell’ambito delle scelte di pianificazione dell’ente locale, dei volumi da una determinata area del territorio ad altra zona che ammetta l’edificabilità. “Delocalizzazione”, peraltro, che rimane preclusa agli «edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta» (art. 5, comma 10, del “decreto sviluppo”).

A tacere del fatto che la norma regionale fa retroagire al 2009 una possibilità prevista dalla disciplina statale solo nel 2011, la disposizione introdotta dalla Regione Puglia ha una portata diversa e più ampia rispetto alla disciplina dello Stato, la quale non ammette la “dislocazione” dei volumi, così come previsto da quest’ultima disposizione.

A conclusioni analoghe può giungersi per l’ambiguo riferimento alle «diverse sistemazioni plano-volumetriche».

La norma regionale autorizza retroattivamente modifiche alla sagoma dell’edificio, da intendersi come «conformazione planivolumetrica della costruzione fuori terra nel suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali, nonché gli aggetti e gli sporti superiori a 1,50 m.»: così ai sensi dell’Allegato A, recante «Quadro delle definizioni uniformi» dello Schema di regolamento edilizio tipo, adottato a seguito di intesa in Conferenza unificata del 20 ottobre 2016.

Il t.u. edilizia ha sempre richiesto, come si è visto supra, per gli interventi di demolizione e ricostruzione, il rispetto della sagoma dell’edificio preesistente (art. 3, comma 1, lettera d). Il vincolo della sagoma è stato attenuato solo nel 2013, quando l’art. 30, comma 1, lettera a), del d.l. n. 69 del 2013 ne ha disposto il rispetto solo per gli immobili vincolati ai sensi del cod. beni culturali. Ne deriva che il significato dell’originaria disposizione regionale non poteva consentire ab origine una diversa sistemazione plano-volumetrica e conseguenti modifiche alla sagoma dell’edificio oltre a quelle ammissibili ai sensi e nei limiti della disciplina statale: la norma di interpretazione autentica ha lo scopo, dunque, di legittimare retroattivamente opere di ristrutturazione disallineate rispetto alla preesistente sagoma del manufatto.

Non è discutibile, dunque, la portata innovativa della disposizione impugnata, la quale integra, non diversamente da quanto affermato dalla difesa dello Stato, una nuova deroga agli strumenti urbanistici, rendendo irragionevolmente legittime, in virtù della sua portata retroattiva, «condotte […] non considerate tali al momento della loro realizzazione (perché non conformi agli strumenti urbanistici di riferimento)», ma che tali «divengono per effetto dell’intervento successivo del legislatore», così realizzando una «surrettizia ipotesi di sanatoria» (sentenza n. 73 del 2017).

L’irragionevolezza della disposizione censurata, con conseguente lesione dell’art. 3 Cost., si accompagna ad una contestuale violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione agli artt. 36 e 37 del t.u. edilizia e all’art. 5, comma 10, del “decreto sviluppo”. Gli artt. 36 e 37 del t.u. edilizia esprimono, infatti, il principio fondamentale della cosiddetta doppia conformità edilizia, principio che richiede la coerenza del manufatto con la disciplina urbanistica sia quando è stato edificato, sia quando viene domandato l’accertamento di conformità.

Come questa Corte ha avuto modo di chiarire in più occasioni in tema di condono edilizio “straordinario”, «[…] spettano alla legislazione statale, oltre ai profili penalistici (integralmente sottratti al legislatore regionale: sentenze n. 49 del 2006, n. 70 del 2005 e n. 196 del 2004), le scelte di principio sul versante della sanatoria amministrativa, in particolare quelle relative all’an, al quando e al quantum. Esula, infatti, dalla potestà legislativa concorrente delle Regioni il potere di “ampliare i limiti applicativi della sanatoria” (sentenza n. 290 del 2009) oppure, ancora, di “allargare l’area del condono edilizio rispetto a quanto stabilito dalla legge dello Stato” (sentenza n. 117 del 2015). A maggior ragione, esula dalla potestà legislativa regionale il potere di disporre autonomamente una sanatoria straordinaria per il solo territorio regionale (sentenza n. 233 del 2015)» (sentenza n. 73 del 2017; nello stesso senso, da ultimo, sentenze n. 208 del 2019 e n. 68 del 2018)”.

Art. 7 della legge regione Puglia n. 5/2019.

“Il comma 1-ter dell’art. 2-bis del t.u. edilizia, nel disporre che «[i]n ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest’ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo», detta evidentemente una regola unitaria, valevole sull’intero territorio nazionale, diretta da un lato a favorire la rigenerazione urbana e, dall’altro, a rispettare l’assetto urbanistico impedendo ulteriore consumo di suolo (come peraltro si trae dai lavori preparatori della legge di conversione dell’art. 5, comma 1, lettera b-bis, del d.l. n. 32 del 2019).

Chiarita la portata del comma 1-ter, risulta evidente l’antinomia tra il suo tenore normativo e il disposto dell’art. 7 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019.

Il comma 1-ter dell’art. 2-bis del t.u. edilizia è infatti incompatibile con l’art. 7 della citata legge reg. Puglia n. 5 del 2019, che consente, in caso di demolizione e ricostruzione, un aumento volumetrico. Inoltre, il riferimento alla necessaria costruzione entro l’area di sedime – come definita dal sopra menzionato Allegato A dello Schema di regolamento edilizio tipo – impedisce le «diverse dislocazioni dei volumi» cui fa riferimento la norma regionale impugnata.

Non può sostenersi, come invece argomenta la difesa regionale, che l’intervenuta modifica normativa statale non incida sulla legislazione regionale attuativa del “piano casa”, considerata disciplina speciale rispetto alla normativa generale prevista dal legislatore nazionale. Il nuovo comma 1-ter dell’art. 2-bis del t.u. edilizia stabilisce che i limiti volumetrici e di sedime si applichino «[i]n ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione», così esprimendo una ratio univoca, volta a superare tutte le disposizioni (anche regionali), in materia di SCIA, incompatibili con i nuovi vincoli.

L’intervenuta modifica del parametro interposto rappresentato dal nuovo principio fondamentale rende quindi costituzionalmente illegittima la norma impugnata, a partire dalla entrata in vigore della novella legislativa statale”.

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