Depositata la relazione sul quesito del primo incidente probatorio. Elevato grado di corrosione per i trefoli in acciaio. Prorogato lo stato di emergenza
“Molti fili completamente corrosi prima della rottura”, un numero di cavi senza corrosione «trascurabile». Parti del ponte fondamentali, soggette a importanti infiltrazioni d’acqua, che ne hanno ammalorato l’anima in metallo. E ancora: ” interventi di manutenzione significativi “che però rimontano solo a 25 anni fa, cioè quando il Ponte Morandi era ancora gestito dallo Stato.
Lo scrivono i tre periti del giudice per le indagini preliminari Angela Nutini nella risposta al secondo quesito del primo incidente probatorio per il crollo del ponte Morandi. Il viadotto autostradale collassato il 14 agosto dello scorso anno causando la morte di 43 persone.
Documentata la situazione di degrado
Nelle 72 pagine di relazione sono emersi dati piuttosto precisi: il 19% dei cavi di acciaio completamente corrosi, il 22% con riduzione di sezione del 75%, il 27% con riduzione del 50% e il restante 18% con riduzione di sezione del 25%.
I periti hanno esaminato le condizioni di conservazione e manutenzione dei manufatti non crollati e delle parti precipitate. In particolare lo stato di salute del reperto 132, il punto di connessione fra lo strallo e l’antenna della pila 9, che secondo gli esperti avrebbe ceduto per primo: nei trefoli, si legge, c’è “uno stato corrosivo di tipo generalizzato di lungo periodo, dovuto alla presenza di umidità di acqua e contemporanea presenza di elementi aggressivi come solfuri, derivanti dello zolfo, e cloruri”.
Secondo i periti, un cavo su quattro di questa sezione è risultato completamente corroso. Mentre il 61% aveva subito una riduzione di spessore di almeno la metà. Solo “il 14% dei gruppi di fili primari e il 3% di quelli secondari sono risultati per nulla o poco corrosi”.
Individuati difetti costruttivi
Nel dossier sono evidenziate anche alcune debolezze nella realizzazione del ponte. Parte di queste fragilità erano già segnalate dallo stesso progettista, Riccardo Morandi, all’inizio degli anni Ottanta.
“Alcune guaine – scrivono gli ingegneri – non sono iniettate del tutto o lo sono parzialmente e i trefoli possono essere estratti manualmente per questo motivo”. Dove sono emersi difetti di esecuzione – si legge sulla relazione – “i cavi secondari sono spesso liberi di scorrere: alcuni trefoli non sono stati trovati dentro le guaine. In generale i cavi secondari nelle guaine presentano fenomeni di ossidazione e, in alcuni casi, con riduzione di sezione, i quali hanno effetti diretti sulla sicurezza strutturale” .
La replica di Autostrade
Secondo Autostrade, “le percentuali di corrosione riportate nella tabella della perizia depositata oggi confermano in realtà che la capacità portante degli stralli era ampiamente garantita, come hanno dimostrato anche i risultati delle analisi compiute dal laboratorio Empa di Zurigo e dall’Univerità di Pisa. Quindi, – si legge nella nota di Autostrade – l’eventuale presenza di una percentuale ridottissima di trefoli corrosi fino al 100% non può in alcun modo aver avuto effetti sulla tenuta complessiva del Ponte”. E i periti di Aspi fanno notare come “tutte le ipotesi sul crollo del Ponte o le presunte “prove regine”, emerse nel corso degli ultimi mesi, non abbiano trovato finora nessuna corrispondenza oggettiva nelle analisi e nelle evidenze disponibili”.
Fonti: Ansa.it
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